martedì 1 novembre 2016

Religione vs Pratica Spirituale




Spesso come insegnanti di yoga ci troviamo davanti a questa domanda: lo yoga è una religione?
La risposta è NO, lo yoga non è una religione, ma una pratica spirituale e per questo motivo non diventerà mai una religione. La spiritualità incoraggia le persone ad arrivare alla definizione di giusto e sbagliato attraverso la ricerca personale, la religione impone quella definizione dall'esterno. Nella spiritualità cuore e intelletto hanno la libertà di valutare il concetto di giusto e sbagliato negli insegnamenti che ci vengono dai maestri del passato, quando quella libertà viene meno la spiritualità perde energia e diventa una religione. Quando mente e cuore vengono manipolati e costretti entro i canoni altrui imposti dall'alto, il processo di crescita e trasformazione rallenta fino a fermarsi perchè la trasformazione è possibile solo quando applichiamo praticamente gli insegnamenti nella vita di tutti i giorni. Lo yoga richiede che si pratichi e si faccia esperienza diretta degli insegnamenti piuttosto che semplicemente credere nella loro bontà, richiede che si trovi la lampada e l'accendino e si accenda da soli il proprio lume, solo così si raggiungerà uno stadio più elevato. La maggior parte delle persone non è interessata a fare questo, il cammino richiede troppo sforzo e nessuno arriva mai a meno di averlo percorso tutto fino in fondo, senza scorciatoie o altri che l'abbiano percorso per noi. Solo chi cerca libertà e indipendenza è attratto da un cammino del genere.

Yoga vuol dire unione, di corpo e respiro, respiro e mente, mente e anima fino a connettere tutte le diverse parti che ci compongono, solo con questa connessione si cresce spiritualmente. La crescita si misura in base a quanto la pratica ci manchi quando nella giornata o nella settimana non riusciamo a trovare il tempo per farla. All'inizio si è presi dall'entusiasmo e durante e dopo la pratica ci si sente bene, sentiamo di aver fatto qualcosa di buono per noi stessi a livello fisico e mentale, la concentrazione ci apre il cuore e ci sentiamo puri e bendisposti verso il prossimo e verso il mondo. Più andiamo avanti, più la concentrazione aumenta e le posture vanno a sciogliere le impressioni di ricordi passati lasciati nel corpo, più la mente comincia a penetrare i livelli più profondi del subconscio. Una volta che non ci distraiamo più con i pensieri immediati della vita di tutti i giorni, la mente va a scavare nel cumulo di spazzatura che si nasconde sotto e comincia la seconda fase del cammino. Si cominciano a provare squilibri emotivi difficili da gestire: pensieri negativi, emozioni forti, rabbia, tristezza, depressione. Questo è il momento più difficile, in cui si è tentati di abbandonare il cammino e tornare alle vecchie abitudini perchè vadano a ricoprire quello che la pratica ha tirato fuori. Ma le abitudini sono create da comportamenti ripetuti che ci hanno portato alla situazione di disagio in cui siamo oggi e l'unico modo per superarla è quello di creare nuove abitudini attraverso altri comportamenti ripetuti che volontariamente decidiamo di assumere. Ecco perchè gli yoga sutra raccomandano di praticare con rispetto e per un periodo di tempo prolungato. Quanto prolungato? Non si può ragionare in termini di analisi costi-benefici, contando le ore di pratica e comparandole ai frutti che ne derivano perchè se non vediamo risultati tangibili ci scoraggiamo. La spiritualità non è un investimento a breve termine... è però l'investimento più prezioso perchè non c'è nulla di più appagante che trovare un significato spirituale nella nostra vita. Per rimanere ispirati ed evitare di scoraggiarci possiamo cominciare con obiettivi facili: la salute del corpo o imparare un tecnica, una volta raggiunti questi obiettivi capiamo che il progresso esiste, anche se bisogna andare oltre. Non fissarsi sulla meta finale e su quanto tempo ci vorrà per raggiungerla, semplicemente accettare che è la pratica di una vita nella quale dobbiamo trovare gioia solo per il fatto di farla, senza preoccuparci del risultato finale. E anche quando non abbiamo capito qualcosa o ci troviamo davanti a un cattivo insegnante la pratica ci porterà sempre qualcosa di buono perchè la Verità e la Guida sono dentro di noi. Se questo è il nostro obiettivo prima o poi lo raggiungeremo. Introspezione, regolarità nella pratica e circondarci di persone simili a noi sono parti essenziali del cammino spirituale, senza le quali lo studio dei testi e gli insegnamenti di un insegnante rimangono sterili. In ultima analisi il Guru è dentro di noi e solo realizzando questo fatto riusciremo ad andare avanti anche negli inevitabili momenti di sconforto e perdita di fiducia. Lo sforzo nella pratica è il bocciolo e la consapevolezza del Guru è il suo profumo. Solo coltivando il fiore con pazienza e permettendogli di sbocciare arriveremo a sentirne il profumo.

(Fonte: Inner Quest, Pandit Rajmani Tigunait, Ph.D,  Himalayan Institute Press)

lunedì 29 agosto 2016

Dove sta la tua Ahimsa?






Ahimsa è il primo degli Yama, le sane regole di vita consigliate dalla filosofia yogica per governare i nostri rapporti col prossimo, così come stabilite da Patanjali negli yoga sutra. Letteralmente non-violenza, intesa in senso materiale e fisico, ma anche come non violenza nelle parole, nei pensieri e come assenza di giudizio, perchè ogni azione violenta è preceduta da un pensiero violento che a sua volta è preceduto da un giudizio negativo. Ahimsa vuol dire coltivare il seme della compassione, verso il prossimo e verso il mondo che ci circonda, per vivere in armonia con tutte le sue creature. Vuole anche dire amore verso se stessi. Dalla pratica di Ahimsa nasce la scelta per uno yogi di non mangiare carne. Dico scelta e non imposizione: nessuno in India ti chiederà mai se sei vegetariano o se mangi prodotti di derivazione animale perchè a nessuno importa. Gli Yama non sono comandamenti imposti dall'alto, ma suggerimenti per vivere una vita migliore e raggiungere uno stato di coscienza più elevato, sta a te seguirli o meno e soprattutto non verrai mai punito se non lo fai. A sentirlo così sembra facile, infinitamente meglio di un comandamento divino che ti dica di fare o non fare qualcosa, ma siamo sicuri che sia così? Un comandamento che ti dica di non mangiare carne è semplice da comprendere, ma nel momento in cui viene introdotto un elemento di scelta le cose si complicano. Esistono mille motivi perchè uno scelga di diventare vegetariano: la carne non mi piace, mangiare vegetariano è più sano, ha più senso dal punto di vista ambientalistico, ma se scelgo di diventare vegetariano o vegano per praticare Ahimsa la cosa è diversa. Per esempio: la nonna, che non sa nulla del tuo nuovo cammino yogico e neppure è sicura di cosa voglia dire vegano, ti invita a pranzo e ti serve le sue famose lasagne al ragù. Ha ordinato al macellaio la carne migliore, è andata a comprarla, ha affettato le verdure a coltello e preparare il ragù le è costato tre giorni. Ma l'ha fatto volentieri e con tanto amore perchè è talmente contenta della tua visita che non ha neppure sentito la fatica. Cosa fai davanti a quel piatto? 'Scusa nonna, ma non posso perchè pratico yoga' oppure per una volta fai un'eccezione e mangi le lasagne? Nessuno ti dirà mai che una decisione sia meglio dell'altra, sta a te decidere dove cade la tua Ahimsa. Altro esmpio: la quinoa, cereale andino dai poteri miracolosi, pieno di sane proteine vegetali che risolve per sempre il problema della mancanza di proteine animali nella dieta vegana. Tu lo sai che la quinoa è l'unica fonte di cibo per tanti villaggi poverissimi sulle Ande e adesso che l'abbiamo scoperta anche noi, chi la produce trova infinitamente più redditizio venderla a noi che la paghiamo 5E al pacco al negozio biologico piuttosto che ai campesinos che di conseguenza soffrono la fame? 
E ancora, i jainisti in India non solo non mangiano prodotti di derivazione animale, ma neppure patate o carote o qualunque altra cosa che venga estratta dalla terra, per non correre il rischio di ammazzare i lombrichi durante la raccolta. E' una scelta: quella di portare la loro Ahimsa fino a quel punto, dove si ferma la tua? 
Qualche mese fa in Thailandia mi è capitato di fare 'morning merit': un'offerta ai monaci che con le loro tuniche arancioni e le ciotole in metallo, la mattina al sorgere del sole  girano silenziosi per le strade e si fermano davanti al mercato. Senza che loro chiedano nulla, la gente spontaneamente si avvicina e mette qualcosa in quelle ciotole, solitamente cibo appena comprato al mercato. I monaci vivono di quello che ricevono e se per caso nelle ciotole capita della carne, accettano anche quella. In Tibet non cresce tanta frutta e verdura, motivo per cui anche il Dalai Lama mangiava carne quando viveva là. Fare diversamente vorrebbe dire rimanere attaccati a un'idea, un concetto, un dogma, un'ennesima manifestazione dell'ego che non solo non ha nulla a che vedere con l'evoluzione spirituale, ma anzi la ostacola.
Il concetto yogico di Ahimsa è quello è di soppesare le conseguenze di ogni nostra parola o azione prima di esprimerla: possiamo avere le migliori intenzioni ma non sapremo mai che conseguenze avranno le nostre azioni una volte messe là fuori. Così come quando si pianta un seme, possiamo avere un'idea di quello che crescerà, ma non avremo mai la certezza. L'unica scelta che abbiamo è quella di agire con quanta più consapevolezza siamo capaci e sperare che accada il meglio così che dal seme dalle nostre azioni cresca una bella pianta.

sabato 13 dicembre 2014

Yoga E'...


Lalit ci ha raccontato di quando è diventato discepolo di Swami Veda Bharati. 'Avevo finito le scuole superiori ed era ora di pensare al futuro, visto il modo in cui ero stato allevato fino a quel momento e gli studi che avevo fatto, era scontato che avrei continuato sulla strada dello yoga. In quegli anni abitavo a Rishikesh, centro importante nel mondo dello yoga, casa di molti ashrams e grandi maestri. Volevo entrare tra i discepoli di Swami Veda Bharati, allievo di Swami Rama dell'Himalaya. Dopo diverse lettere e richieste a vuoto finalmente ottenni un'udienza. Il giorno dell' incontro mi feci cinque chilometri a piedi e nonostante il colloquio fosse fissato per le nove, arrivai con mezz'ora di anticipo. Per più di un'ora aspettai senza che nessuno mi dicesse nulla. Verso le undici mi feci coraggio e chiesi a un segretario se lo Swami sapesse che ero arrivato. Mi rispose di aspettare tranquillo il mio turno. Arrivò l'ora di pranzo, nell'aria si sentivano i profumi della cucina, diverse persone andavano e venivano ma nessuno mi chiedeva se volessi qualcosa da mangiare. Avevo fame, ero stanco, arrabbiato, ma continuavo ad aspettare. Verso le cinque il segretario arrivò e mi disse che lo Swami era pronto a ricevermi. Entrai baldanzoso nella stanza delle udienze e mi misi a sedere in loto (cretino che non ero altro!) davanti allo Swami. Lui mi chiese il motivo della visita, così gli spiegai con un giro di frasi ossequiose che ero lì perchè volevo iniziare a studiare con lui. Lui mi guardò per un po' e poi mi chiese 'Cos'è lo yoga?' La domanda era musica per le mie orecchie e immediatamente mi lanciai in una spiegazione degli otto arti, Patanjali e tutto il resto. Dopo che ebbi finito il mio monologo, Swami Veda mi benedisse e mi disse 'Torna domani.' Rimasi perplesso, ma sempre più convinto della mia scelta, feci come mi disse e il giorno dopo tornai, facendomi cinque chilometri a piedi e arrivando sempre con mezz'ora di anticipo. Come il giorno prima, rimasi ad aspettare fino a sera prima che lo Swami mi ricevesse. Come il giorno prima, arrivato il momento entrai e mi sedetti in loto davanti a lui per dimostrare quanto fossi bravo. Nuovamente lui mi chiese 'Cos'è lo yoga?' Esitai un attimo ma mi lanciai comunque nella spiegazione degli otto arti, ancora più dettagliatamente della prima volta. Lui aspettò che finissi e mi disse 'Torna la settimana prossima.' Sempre più perplesso, ma sempre più convinto di voler studiare con questo grande maestro, mi feci forza e mi preparai a tornare la settimana successiva. La cosa andò avanti per più di un mese, tornavo, ogni volta mi faceva la stessa domanda e io ogni volta gli davo la stessa risposta. Lui mi benediva e mi diceva di tornare dopo qualche giorno, dopo una settimana o quando fossi pronto. Un giorno decisi di prenderlo di sorpresa. Saputo che ogni mattina all'alba andava a passeggiare vicino al fiume, mi feci i cinque chilometri al buio e arrivai all'ashram poco prima del sole. Scavalcai il cancello ma atterrato dall'altra parte un cane da guardia mi attaccò e per sfuggirgli dovetti risaltare il cancello, perdendo una scarpa e cadendo malamente sui rovi. Con tutto quel rumore attirai l'attenzione degli abitanti dell'ashram che mi portarono dallo Swami. 'Vedo che sei arrivato presto stamattina, cosa ti è successo al braccio? E perchè hai una scarpa sola?' Non volendo fare la figura dell scemo gli raccontai una bugia. Lui non si scompose e mi chiese 'Allora, mi sai dire cos'è lo yoga?' In quel momento ebbi un'illuminazione! Mi inginocchiai ai suoi piedi e dissi 'Si Maestro, lo yoga è disciplina. Perdona la mia arroganza, per favore prendimi a studiare con te e insegnami tu cosa sia lo yoga.'
'Finalmente! E quanto ti ci è voluto per capirlo?'
'Sei settimane...'
'Bene. Mi dici adesso cosa ti sia successo e perchè hai una scarpa sola?'
Gli raccontai allora di quanto fossi stato sciocco a volerlo prendere in contropiede durante la sua passeggiata e ancora una volta chiesi scusa per la mia arroganza. Quel giorno, non solo mi prese tra i suoi allievi ma mi diede anche i soldi per comprarmi un altro paio di scarpe.












Il sutra, il filo rosso che durante la Pujia di apertura del corso mi avevano legato al polso sinistro, simbolo del mio impegno e di quello dei miei insegnanti, mi si è sfilato. Durante il viaggio di ritorno avevo chiesto a Lalit per quanto tempo avrei dovuto tenerlo e lui mi aveva risposto che sarebbe caduto da solo al momento giusto. Immaginavo si sarebbe rotto, ma invece è semplicemente venuto via, senza traumi, senza rimpianti. L'ho conservato in una scatola, ancora rosso e intero come il primo giorno. Tempo di concludere i post, tirando i fili conclusivi di questo percorso indiano. Vi rimando a uno dei post iniziali 'Yoga, perchè?' e saltati gli otto arti, mi rimetto all'esperienza del mio insegnante: Lo Yoga E' Disciplina. Prima di partire abbiamo imparato dell'esistenza degli otto arti e crediamo di sapere tutta la teoria. Abbiamo un carnet nutrito di asana, che sono la nostra sicurezza, la nostra presentazione. Il certificato è la nostra motivazione e ci incamminiamo, sicuri che qualunque cosa succeda in quel mese, arriveremo. Durante questo mese qualcuno ha lasciato a metà strada, altri sono arrivati alla fine e hanno rinnegato tutto il percorso, incapaci di aver a che fare con la disciplina ferrea che per quattro settimane hanno tollerato a denti stretti. Leggendo un capitolo per la classe di filosofia sono incappata in questa frase: 'Non lasciare che il frutto delle tue azioni sia la tua motivazione', Bhagavad Gita. In realtà non sai cosa sia motivazione fino a che non senti la sveglia suonare tutti i giorni alle 5,40, fino a che non passi un mese seduto per terra, senza mai appoggiarti nè stendere le gambe, con quaranta gradi e il sudore che ti cola lungo la schiena. A nessuno interessa quanti equilibri sulle braccia tu sappia fare nè se sei capace di chiudere un loto. Importa invece che tutti giorni ti alzi al suono di quella sveglia e arrivi pulito e con la divisa fresca alla lezione di mantra e pranayama, che rispetti le ore di silenzio, accetti le correzioni e i consigli che ti vengono dati nella guida di una classe, anche se è già il tuo lavoro. E' questo il ruolo del tuo insegnate, con l'esempio pratico, darti una disciplina che ti guidi nella vita di tutti i giorni e che ti sostenga nei momenti difficili, quando magari tutto intorno crolla. Se gli insegnamenti sono stati trasmessi nel modo giusto, avrai sempre un codice di comportamento a cui aggrapparti fino a che la tempesta sia passata. E alla fine del corso, quando ricevi quel certificato tra le mani come una sorpresa perchè già dalla fine della prima settimana ti eri dimenticato di quella che era la tua meta iniziale, un bravo maestro ti lascia libero. Sicuro degli strumenti che ti ha trasmesso, ti spinge a volare da solo, incoraggiando la tua indipendenza come allievo e come nuovo insegnate, divulgatore del suo lignaggio, ma con voce propria, in un rapporto all'insegna di fiducia e rispetto reciproci. Come il sutra che si scioglie, ma il cui significato profondo rimane: l'impegno a fare dello yoga uno stile di vita. 











Ringrazio tutti per la partecipazione, l'attenzione e il tempo che mi avete dedicato. Per i commenti lasciati su Blogger e Facebook, le mail, i messaggi su Whatsap, non immaginate quanto mi abbia dato coraggio la vostra presenza. E grazie anche ai lettori silenziosi, la cui vicinanza ho comunque sentito con me nel cuore. Questo è tutto, fino al prossimo viaggio. Buon Natale a tutti! Namastè.



martedì 9 dicembre 2014

If the mountain will not go to Lalit...



















Mi siedo al PC e comincio a scrivere crogiolandomi nella stabilità della connessione internet. So che non scomparirà sul più bello quando, dopo aver corretto l'ultima virgola, sarò pronta a pubblicare. Se i post dall'India hanno l'aspetto di pensieri scarabocchiati di getto senza riflettere troppo sulla forma, la colpa non è solo della montagna russa emotiva, ma anche e soprattutto della connessione ballerina.  Atterrati mercoledì notte dopo più di ventiquattrore, nelle quali siamo passati dai trenta e più gradi di Goa al freddino pre-natalizio di Cagliari, ci siamo ammalati entrambi. Il mio raffreddore estivo è sceso nei bronchi e dopo aver temporeggiato per tre giorni mi sono detta che nessuno mi avrebbe dato una medaglia per aver resistito all'antibiotico così sabato mattina alle 5,40, in preda a jetlag e attacco di tosse ho cominciato a curarmi. Giusto in tempo per l'inizio del seminario di ashtanga, poche ore dopo. Se la montagna non va a Maometto, Maometto andrà alla montagna: Lalit ci ha concesso qualche giorno del suo tempo per praticare insieme a noi, quelli che ormai chiama 'la sua famiglia italiana'. Per me è stato un atterraggio morbido, conclusione ideale del mese appena trascorso, una estensione della bolla yogica nella quale sono stata sospesa  per le ultime settimane. Ho aperto e trasformato casa in un ashram improvvisato, condividendo questi ultimi giorni con amici e compagni di cammino, di Cagliari e d' oltremare per praticare yoga e conoscere Lalit. Tre giorni di festa, circondata dal calore delle persone care che mi ha seguita fino in India e che ho poi trovato ad attendermi qui all'arrivo. Posso dire di essere atterrata solo oggi, con le lavatrici da fare, la roba che poco per volta recede nei cassetti e angoli in cui normalmente vive, l'albero di Natale e la spesa da organizzare e la ripresa dei corsi nei quali, per il mese di Novembre, Barbara e Alberto mi hanno generosamente sostituita (Namastè ragazzi, non so veramente come ringraziarvi _/\_ ). Alcune abitudini sono ancora quelle dell'India, le vecchie ancora difficili da riprendere. Le scarpe mi stanno strette, appena entro in casa le sfilo e le butto in un angolo, (per fortuna a lavoro sto scalza!), make up questo sconosciuto. Ci vorrà qualche giorno per lasciar sedimentare pensieri, sensazioni, e digerire il mese appena trascorso. Rimando l'ultimo post a quando sarò completamente sul fuso italiano.




mercoledì 3 dicembre 2014

Doha



























Riemergo in uno stato finalmente di veglia dopo la prima parte del viaggio nella quale ho camminato nel sonno. Normalmente sono una persona attenta, soprattutto quando viaggio, ma questa mattina (ieri notte?) alla partenza da Goa proprio non c'ero. Per fortuna avevo gli angeli custodi, Lalit e Maeve, che viaggiavano con me. Lasciato il centro a mezzanotte, siamo arrivati in aeroporto dopo un'ora di macchina. Questa volta ero preparata e non mi sono più sconvolta alla vista delle mucche per strada e dei villaggi di capanne al limite della giungla, almeno per i primi venti minuti, poi devo essermi addormentata. Arrivati in aeroporto, caos di macchine, gente e animali, ci siamo messi in fila per entrare. In India solo chi viaggia è autorizzato a entrare dentro l'aeroporto per cui il biglietto viene controllato all'ingresso. Passata Maeve, è stato il mio turno di mostrare il mio biglietto elettronico, che la poliziotta alla porta però non ha gradito. 'Il Suo volo non esiste, non può entrare.' Panico. Ho cercato di farle vedere che fosse tutto regolare, ma non ne voleva sapere. Dopo le prime due battute ero pronta a saltarle alla gola quando per fortuna è intervenuto Lalit che con le buone e il sorriso le ha fatto capire che si sbagliava. Siamo passati, ma a quel punto tra stanchezza e panico la testa non mi funzionava più. Lalit mi ha preso passaporto e biglietto (ebbene si, ho lasciato il passaporto nelle mani di qualcun altro!) e ha preso il comando, facendo lui il check-in e il controllo delle valigie ai raggi X, ridandomi i documenti solo al momento dei controlli di sicurezza. Non mi restava che seguirlo docile come una moglie indiana! Nella sala d'imbarco mi sono bruciata con il caffè bollente che ho offerto con le mie ultime rupie e Maeve mi ha fasciato la mano con la sua sciarpa dopo averla bagnata d'acqua fredda. Mentre, finalmente un po' più presente, ma mica tanto, sorseggiavo il caffè bollente seguito da un Mars (che solo in momenti di estrema debolezza in vita mia mi sono concessa, ricordo uno degli ultimi durante una camminata di un giorno in Nuova Zelanda ad Abel Tasman Park), ho visto un ratto enorme che girava sotto le sedie. In momenti migliori sarei schizzata via insieme alla tazza di caffè, oggi sono rimasta impassibile. Il primo volo è passato in uno stato di dormiveglia, siamo arrivati a Doha senza che me ne rendessi conto. Maeve ci ha lasciati di corsa per prendere la coincidenza per Londra, io e Lalit avevamo sei ore da aspettare per il volo per Roma. Stavo per rassegnarmi a passare il tempo su una panchina, ma il mio compagno di viaggio è per fortuna più sveglio (in tutti i sensi) di me, 'Sei matta?! Vediamo se ci danno una stanza!' E ovviamente aveva ragione lui. Ufficialmente Qatar Airways passa in cima alla lista delle mie compagnie aeree preferite, camera e colazione, courtesy della compagnia aerea che si scusa per la lunga attesa della coincidenza. Dopo aver dormito tre ore, fatta doccia e colazione, finalmente ci sono. Ovviamente il risveglio ha anche portato come controindicazione il rendersi conto, in un ambiente come questo dopo un mese di giungla, quanto i miei vestiti siano sporchi e di quanto urgente bisogno ho di andare ad aggiustarmi i capelli. Pellegrina ma riposata mi appresto a iniziare la seconda parte del viaggio di ventiquattro ore che porterà me e Guruji a Cagliari!

lunedì 1 dicembre 2014

Graduation!

























Finito! Sono ufficialmente un'insegnante di ashtanga yoga. Ultima prova pratica questa mattina, aperta da Pema in maniera inaspettata, con un riscaldamento che senza accorgercene, con qualche pennellata della sua fantasia e grande sensibilità ha trasformato in una danza indiana. Uno di quei momenti di puro genio quando movimenti ripetuti centinaia di volte prima, con un ritmo diverso e qualche piccolo cambiamento si trasformano completamente. La classe ha reagito con una bella risata catartica, compresi noi, compagni di esame che non sapevamo nulla delle sue intenzioni. Da lì l'energia è salita, dimenticate le ossa rotte delle prove di esame precedenti in cui tutti a turno ci siamo prestati a fare da cavie, siamo riusciti a mettere insieme una classe dinamica che tutti, insegnanti compresi, hanno apprezzato. La sessione si è conclusa con Simone alla guida, che ha finito con venticinque respiri in loto e massaggio al momento del rilassamento che in occasione dell'ultima pratica, abbiamo ripetuto ciascuno su due compagni, cercando di 'spread the love' e ringraziarli per essersi prestati ad essere aggiustati e tirati nelle posizioni. Dopo colazione c'è stata la puja, la cerimonia finale condotta dal sacerdote bramino, che ha ufficialmente concluso il TT200. A fine mattina c'è stata la consegna dei diplomi e ciascuno ha ricevuto un feedback scritto individuale, dettagliato, con tanto di voti e commenti personalizzati. Ho scorso il mio in fretta, scannerizzando il documento per parole chiave, cercando conferma di punti di forza e rassicurazione per quelli deboli. Alla fine una frase che ha avuto un eco profondo dentro di me 'Da parte di tutto il team, grazie per aver messo da parte tutto quello che sai, la tua conoscenza chiaramente profonda della materia, e di aver accettato per tutta la durata del corso di essere plasmata da zero.' E' stato come se un macigno mi venisse sollevato dal cuore, o dallo stomaco, (qualcosa a che fare con anahata chakra comunque!), mi sono sentita libera. Non mi ero accorta durante tutto il mese di quanto sia stato difficile mettere da parte l'ego, anzi dimenticarmelo proprio, e accettare correzioni e cambi di prospettiva. Situazioni in cui sapevo benissimo che un aggiustamento di una postura o l'uso di una tecnica fosse corretto perchè già imparato da un ottimo maestro, ma che non corrispondeva al protocollo a cui ci hanno chiesto di attenerci alla lettera. A volte per distrazione, altre per esasperazione, per ego, per desiderio di affermare la mia individualità, ho ripetuto gesti abituali, che uso quotidianamente nel mio lavoro di insegnate di yoga, e sono stata corretta, riportata sugli schemi di Himalaya Yoga Valley. Una 'correzione sul corretto', che sul momento ho accettato di buon grado, senza rendermi conto di quanto mi pesasse abbassare la testa e ricominciare. Uno di quei casi in cui quando ti trovi in una situazione, stringi e denti e vai avanti, ma quando finisci e ti guardi indietro ti rendi conto di quanta fatica ti sia costato percorrere quella strada.
Dopo la consegna dei diplomi, lacrime, foto e abbracci, ci siamo sparpagliati per il villaggio, alcuni alla ricerca degli ultimi raggi di sole prima di tornare alla neve di casa, altri a fare gli ultimi acquisti, una minoranza alla ricerca di fresco, riposo e una connessione internet. Con un mal di testa feroce scrivo queste prime impressioni da 'post-graduate' mentre Pema disegna affianco a me e John e Adam suonano seduti al tavolo vicino, con Klara, Doris e Marianne sdraiate su divani e cuscini per terra. Con il sole spero se ne andrà anche il mal di testa, questa sera festeggiamo da Cafè Nu, un locale fino ad oggi considerato fuori dalla portata delle nostre tasche (15E per una cena contro i 4E degli altri posti). Molti giurano che sarà la fine della dieta alcool-free a cui ci siamo di buon grado impegnati durante questo mese. Un primo passo verso il ritorno alla vita normale.Ancora trentasei ore e sarò sulla strada di casa :-)  




sabato 29 novembre 2014

Snapshots


















Photo by Klara Ka

Finito oggi il secondo e ultimo 'Knowledge Check', un esame scritto a trecentosessanta gradi su quello che abbiamo studiato fino ad ora. Rimane l'ultimo round di prove pratiche, che stiamo affrontando divisisi in gruppi di dieci alla volta. Ancora un paio di giorni e arriverà il tanto sospirato momento del diploma. Domani mezza giornata libera, ma domenica sarà giornata piena, di ore di lezione e di studio. Questa sera per celebrare, per una volta disertato Kathmandu, abbiamo occupato il cortile del ristorante tibetano su Beach Street, una casa in cui al primo piano vive una famiglia che qualche giorno a settimana apre il cortile per accogliere chi voglia mangiare con loro. Tre tavoli comuni, bassi come sempre da queste parti, circondati da divani senza spalliera, ricoperti di stoffe rosse, verdi, gialle e cuscini con ricami dorati. Alberi di banane e altre piante tropicali spuntano a caso dal cemento irregolare del pavimento ricoperto di stuoie. Sulla testa un pergolato di rampicanti, non troppo efficiente per ripararci dall'umidità della notte, ma sicuramente molto suggestivo. Entriamo scalzi nel giardino, le scarpe si lasciano sulla strada prima di varcare l'ingresso come al solito. Ci accomodiamo a gambe incrociate, sui divani bassi o per terra, schiena dritta senza cercare appoggi. Le sedie fanno parte di una quotidianità alla quale dovremo riabituarci una volta tornati alla vita normale, in India non esistono. Il clima è allegro, aria da ultimi giorni di scuola. Mi mancheranno questi compagni di viaggio, ormai diventati una famiglia. Li guardo e sorrido ripensando a frasi sentite qua e là e momenti vissuti insieme durante questo mese, situazioni di ordinaria amministrazione qui dentro, ma che fuori sono da manicomio. Adam in un confuso stupore notturno, 'Michael mi ha svegliato all'una, convinto che fossero le 6,20. Mi sono buttato giù dal letto pensando 'Shit, I'm gonna be late for meditation!'' Klara, che durante un esercizio a due con aria di sognante ammirazione mi dice 'Darei qualunque cosa per avere i tuoi bicipiti femorali...' complimenti da yogi! La voce potente con marcata inflessione dublinese di Niamh che entra dalla finestra appena aperta alle cinque del mattino, mentre ripassa il saluto al sole, fuori buio pesto e canto dei grilli, 'INHALE raise your hands above your head, EXHALE fold on your knees.' Simone, di padre irlandese e mamma giamaicana, nata e sempre vissuta a Londra della quale ha un inconfondibile accento che però riesce a colorare di verde e arancione quando imita Niamh che studia il saluto al sole nel cuore della notte 'INHALE raise your hands above your head... 'Non è alle 5 del mattino quando suona la sveglia che mi disturba, ma quando mi tiene sveglia all'una di notte, ''ain't it babe?' '
Cose che non mi mancheranno: i silenzi del giovedì. Trasportare le damigiane d'acqua da cinque litri e ogni sera travasare le dosi giornaliere nella bottiglia che mi porto sempre dietro e in quella che uso per lavarmi i denti. Lavare i vestiti nel lavandino. A questo punto le divise hanno un colore giallo marroncino e sono veramente inguardabili: di tre set ciascuno, stiamo tutti cercando di combinare i pezzi meno sporchi per il giorno del diploma. La terra rossa, che vola in continuazione, ti si attacca alla pelle e ai vestiti e la sera te la devi lavare di dosso. La vedi colare con l'acqua della doccia insieme alla stanchezza della giornata. Cose che invece mi mancheranno: quella stessa terra rossa, esotica e prepotente, ma allo stesso tempo rassicurante, che riempie lo sguardo e scalda il cuore. Ti da il benvenuto il momento che atterri e lo rinnova ogni giorno quando ci cammini sopra quasi scalza, come unica barriera le ciabatte. Chiedo scusa in anticipo a chi verrà alle mie lezioni tra due settimane, non ho idea di quente pedicures ci vorranno per eliminarla dai miei piedi. Il sole al tramonto, che non sono ancora riuscita a fotografare come merita perchè a quell'ora siamo sempre nella shala. Nei giorni prima di ripartire mi metterò d'impegno per catturarlo almeno una volta e spero di rendergli giustizia. Non ho mai visto un sole così, nè in Australia, nè in Sardegna che è comunque famosa per i tramonti. Qui ha dimensioni enormi, verso le sei di sera diventa una palla arancione dai contorni incredibilmente definiti, si tuffa nel mare e sparisce in pochi minuti. Il buongiorno silenzioso nel sorriso di Pema quando ci incontriamo uscendo di casa alle sei del mattino, avvolte negli scialli colorati, per andare alla prima classe della giornata. Camminiamo fianco a fianco senza dire una parola, consapevoli della reciproca presenza amica ed energia positiva che ci tiene compagnia. Dopo il rientro ci vorrà qualche giorno per rientrare nella vita di prima e cercare di incorporare almeno parte della routine indiana a quella di casa.